L’artrosi è considerata la malattia del nuovo secolo. In Italia ci sono
circa 6 milioni di persone con patologia artrosica con costi stimati annui in
circa 6,5 miliardi di Euro.
Un paio di considerazioni possono far capire l’importanza di questa patologia nella popolazione: sopra i 60 anni è la principale causa di dolore e invalidità e ha un impatto negativo sulla popolazione maggiore rispetto ad altre patologie ben più gravi (come ad es le malattie cardiovascolari).
Com’è facilmente intuibile, i numeri impressionanti sono legati al
progressivo invecchiamento della popolazione.
E’ quindi inevitabile?
Assolutamente no! È legata infatti a diversi fattori:
Entrando nello specifico a parlare del ginocchio abbiamo fattori più specifici:
I SINTOMI TIPICI dell’artrosi del ginocchio sono dolore al movimento e si manifesta durante la deambulazione. E’ difficile che il dolore sia presente a riposo (almeno nelle prime fasi) ed è tipicamente maggiore all’inizio della camminata. Il paziente si rende conto che il ginocchio “scricchiola”, come se sfregasse osso contro osso.
In effetti spesso sono presenti gli scrosci articolari, i quali possono essere percepiti appoggiando la mano sul ginocchio (in particolare sulla rotula) mentre lo si muove.
Un altro sintomo invalidante è la progressiva limitazione articolare e funzionale: il dolore limita il movimento e di conseguenza si instaura una rigidità articolare che peggiora ulteriormente la situazione.
Il dolore si manifesta soprattutto nella regione del ginocchio più consumata; tuttavia questa non è una regola. Spesso, anzi, il paziente non riesce a localizzare precisamente la sede del dolore e lo riferisce come un dolore diffuso.
Se sono presenti questi sintomi, è sufficiente effettuare una radiografia delle ginocchia IN CARICO, con in aggiunta le proiezioni di Rosemberg e le assiali di rotula per giungere alla diagnosi. NON sono necessari quasi mai ulteriori approfondimenti.
Nell’esempio in Figura 2, da me poi operato, si può vedere la differenza tra un ginocchio con artrosi moderata ma senza dolori (visibile a SX nella foto) e uno fortemente artrosico (a DESTRA nella foto, nel cerchio rosso).
A volte posso chiedere un approfondimento con la Risonanza Magnetica, non tanto per confermare la diagnosi ma per fare altre valutazioni. La risonanza mi permette di valutare meglio gli eventuali edemi ossei, oppure alcuni tessuti molli come i legamenti crociati, nel caso volessi optare per la protesi monocompartimentale.
Normalmente si pensa all’artrosi come al consumo della cartilagine: i dolori quindi che il paziente avverte sarebbero legati allo “sfregamento” delle ossa senza più cartilagine tra di loro.
Ciò è sicuramente vero; tuttavia l’artrosi è un processo molto complesso che coinvolge TUTTI i tessuti all’interno di un’articolazione. I dolori e la difficoltà a muovere quell’articolazione sono dovuti quindi NON SOLO alla cartilagine consumata, ma anche alla “sofferenza” di altri tessuti come la capsula che avvolge l’articolazione, ai tendini, ai legamenti, ai muscoli attorno.
Il primo passo è porre l’attenzione su ciò che si può correggere:
Il paziente viene in studio perché ha DOLORE. È giusto quindi prevedere una serie di terapie per ridurre il dolore:
L’altra componente terapeutica NON chirurgica in cui credo molto è la riabilitazione.
Ho imparato che il recupero muscolare, oltre che del movimento, siano basilari, ANCHE in un ginocchio con artrosi. Questo può avere la DUPLICE funzione di migliorare il dolore/funzionalità ed eventualmente essere una ginnastica di preparazione dell’intervento chirurgico.
In aggiunta ci sono terapie parallele come infiltrazioni di Acido ialuronico (utili sia sul fronte del dolore che del recupero della mobilità) di cui parlo in una sezione specifica.
Quando tutte queste terapie non sono più efficaci o quando la situazione artrosica è avanzata, propongo l’intervento di PROTESI del GINOCCHIO.
Fig. A |
Fig. B |
C |
L’intervento chirurgico di sostituzione protesica ha il grosso
vantaggio di eliminare del tutto o per la maggior parte il forte dolore
quotidiano e di ridare una adeguata funzionalità all’articolazione.
Nel caso del ginocchio esistono protesi:
La scelta del tipo di impianto dipende da molti fattori ed è discussa e concordata da me e dal paziente.
Senza entrare in troppi dettagli tecnici, dico sempre ai pazienti che una protesi di ginocchio è formata da 2 pezzi di metallo (che rivestono il femore e la tibia a livello del ginocchio) nel cui mezzo c’è un “biscotto” di una particolare plastica (il polietilene) ad altissima resistenza e scarsissima usura.
Il CEMENTO ovviamente è di tipo biologico, ed è il collante della protesi sull’osso. Preferisco usare protesi cementate in pazienti con qualità ossea scarsa; viceversa quando posso uso protesi NON cementate (cioè che rispettano di più la biologia).
NON ESISTE la protesi perfetta, esiste solo quella più adatta a quel determinato paziente dopo attenta valutazione clinica, anamnestica (le domande sullo stato di salute del paziente) e radiografica.
Come detto in precedenza, considero la protesi monocompartimentale la VERA mini-invasività applicata al ginocchio. Permette, in effetti, di sostituire solo il compartimento artrosico e lasciare intatti gli altri due e soprattutto mantenere entrambi i legamenti crociati.
Questo è importante perché il paziente sente il ginocchio come “il suo”, a differenza della protesi totale dove il paziente capisce di avere qualcosa di “estraneo”, anche se ben tollerato.
Un altro vantaggio della protesi monocompartimentale è che viene sacrificato POCO osso (si può vedere la differenza, nella stessa foto, tra la mono e la totale dalle frecce verdi); questo è importante poiché in caso di revisione spesso si può optare per protesi totali da primo impianto e NON da revisione (protesi più ingombranti, che sacrificano più osso).
Tutto bene quindi? Non proprio: lo svantaggio di questo tipo di protesi è che ha delle indicazioni ben precise e molto più restrittive rispetto alla protesi totale.
E’ doveroso quindi valutare attentamente il paziente e le indagini radiologiche per porre correttamente questa indicazione.
Anche nella via d’accesso si può estendere il concetto di mini-invasività.
Nel caso della monocompartimenale, l’incisione viene centrata solo sul
compartimento da protesizzare (interno o esterno)
Nel caso della protesi
totale si passa dalla via tradizionale (1), in cui viene inciso
longitudinalmente il tendine del quadricipite, a quelle più innovative
(mid-vastus 2; sub-vastus 3) dove si cerca di preservare il più possibile
L’INTEGRITA’ dell’apparato estensore (quadricipite, tendine quadricipitale,
rotula e tendine rotuleo).
Anche qui si deve valutare caso per caso, poichè le vie mini-invasive non sono compatibili con tutti i tipi di ginocchia.
Una volta concluso l’intervento entra in gioco il paziente stesso: la riabilitazione inizia praticamente nelle ore successive e continuerà per diverse settimane, in modo tale da recuperare l’autonomia sia a camminare che a vivere i gesti della vita quotidiana. Solitamente ci sono 2 drenaggi che raccolgono il sangue post-operatorio, il quale poi viene reinfuso il pomeriggio dopo l’operazione (per limitare il più possibile le perdite di sangue).
Nei nostri reparti gli infermieri e i fisioterapisti guideranno il paziente operato a effettuare anche i movimenti più semplici come spostarsi nel letto, sedersi per lavarsi, camminare con le stampelle.
Normalmente il paziente con protesi di ginocchio rimane ricoverato per circa 22-25 giorni per effettuare tutto il primo ciclo riabilitativo; gli verranno insegnati degli esercizi da effettuare quotidianamente a casa (oltre che istruito sulle norme di comportamento al domicilio).
Normalmente il paziente impiega 8-10 settimane per recuperare una buona autonomia: a quel punto può abbandonare le stampelle, riprendere a guidare, tornare a lavori o sport leggeri. Per lavori più pesanti bisogna di solito aggiungere un ulteriore mese. Solitamente effettuo la 1° visita post-operatoria (con Rx di controllo) a circa 2 mesi.
Il paziente con protesi al ginocchio necessita mediamente di più tempo per riacquisire una buona autonomia rispetto ai pazienti con protesi d’anca: le differenze principali sono che nel caso dell’anca noi adattiamo la protesi all’architettura dell’articolazione cambiando più che altro l’assetto (e tagliando poco osso e tessuti molli).
Nel ginocchio è l’opposto: è l’articolazione che si adatta ai nostri tagli ossei (cambiando addirittura l’asse dell’arto inferiore) e quindi avremo maggior dolore, perdite di sangue, tessuti tagliati, ecc.
Le complicanze sono sovrapponibili a quelle dell’anca, con alcune differenze: il rischio di lussazione, per esempio, per quanto sia poco frequente nell’anca è ancora più raro nel ginocchio.
L’infezione della protesi è la problematica che preoccupa maggiormente i chirurghi che si occupano di protesi articolari. Anche qui stiamo parlando fortunatamente di percentuali MOLTO BASSE grazie ai protocolli farmacologici e banalmente di pulizia e attenzione che abbiamo nei nostri reparti e nelle nostre sale operatorie.
Devi tenere presente che una protesi sarà sempre a rischio (seppur bassissimo) di infezione, quindi DOVRAI SEMPRE INFORMARE un medico (o un dentista) che ti propone un intervento chirurgico per qualsivoglia motivo. Egli saprà impostare un’adeguata profilassi farmacologica per poter tranquillamente effettuare la procedura.
Complicanze gravi ci potranno essere sempre (è implicito nel concetto di intervento chirurgico) ma stiamo parlando di eventi molto rari (anche perché il prericovero è un filtro fondamentale per arrivare alla sala operatoria con meno rischi possibili: è importante quindi portare con sé in quel momento TUTTA LA DOCUMENTAZIONE DELLA PROPRIA SALUTE).
Consiglio sempre ai pazienti protesizzati di effettuare controlli periodici con radiografie. Questo è importante prima di tutto per capire come il paziente stia “vivendo” la protesi articolare, poi per valutare la mobilità dell’articolazione, lo stato della cicatrice e il tono muscolare.
Le radiografie sono importanti per valutare la protesi nel contesto dell’osso. Nel corso degli anni in effetti si creano dei micro-movimenti e riassorbimenti d’osso attorno alla protesi e questo porta, alla lunga, alla mobilizzazione della protesi. È un processo purtroppo inevitabile ma normalmente avviene DIVERSI ANNI dopo l’impianto.
Questa è una domanda che mi viene rivolta spesso quando propongo questo intervento.
La risposta è praticamente impossibile da dare al singolo paziente, in quanto entreranno in gioco numerosi fattori che potranno condizionare la longevità dell’impianto.
Normalmente rispondo citando i numeri dei registri internazionali (esiste anche in Italia il Registro Italiano delle ArtroProtesi: http://old.iss.it/riap/index.php?lang=1): si può affermare che a distanza di 20 anni la sopravvivenza si attesta intorno al 90%.
Sono indubbiamente numeri confortanti, tuttavia sono statistiche. Ogni caso clinico fa storia a sé.
Prendendo in prestito un’affermazione di un famoso ortopedico contemporaneo, una protesi articolare dura come un matrimonio...
La maggior parte durano per tutta la vita, tuttavia alcuni hanno problemi a breve distanza…
...e come mai hanno problemi?
Ci sono diversi fattori che possono interferire con il matrimonio e metterlo in crisi o farlo fallire del tutto: fattori interni (i coniugi, cioè la protesi) o fattori esterni (i parenti, cioè fattori non connessi strettamente all’impianto protesico).
Se pensi dunque che la tua problematica rientri tra quelle che ho provato a spiegare in maniera chiara e semplice, puoi prenotare un appuntamento o contattarmi via mail.
Per qualsiasi informazione puoi scrivermi una mail all’indirizzo ortopedico@giovannilongoni.it
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